Ciao! Eccoci col primo numero di Ring light, una newsletter mensile sulla filosofia nell’era digitale per capire meglio la contemporaneità.
Sono super felice sia finalmente realtà! Un veloce momento sdolcinato – poi basta, giuro 👀 L’idea è nata anni fa, quando aprii un blog con un mio amico, poi articoli qui e lì, romanzi non finiti e altri, invece, conclusi, ma mai editati. Ci ho messo un po’ a scoprire ciò che mi piaceva davvero scrivere, così come ci ho messo un po’ a trovare uno stile per farlo. Ecco, Ring light è questo risultato di prove ed errori.
Tornando a noi, è il periodo del Salone del libro e, come ogni anno, si discute della crisi dell’editoria, dei pochi lettori, eccetera. Oltre a parlare di tutto ciò, oggi proviamo a fare un passo più in là, magari anche due. Accendiamo la luce!
Civiltà e barbarie
Nel XIX secolo l’America Latina è spaccata a metà. È il 1845 e l’argentino Domingo Faustino Sermiento pubblica Facundo o Civilizaciòn y Barbarie: sulle coste, la civilizzazione, nell’entroterra, la barbarie. Nel 1902, Os Sertõres, di Euclides da Cunha, racconta la guerra fra l’esercito brasiliano e l’insediamento di Canudos: un atto di barbarie compiuto dagli uomini civili. Flash forward. Nel 2025, nelle università, si studia Skibidi Toilet.
La crisi della cultura
Abbiamo un problema con la definizione di “cultura alta” – e di “barbarie”.
E lo abbiamo da un po’. Ultimamente, però, il dibattito si è riacceso. Sì, si è riacceso esattamente per quello che pensi: l’anti-intellettualismo, le bolle algoritmiche, i romantasy. Ma facciamo un passo indietro e, a proposito di cultura alta, citiamo un libro per darci maggiore autorità. La “cultura-corpus” è per Olivier Roy – docente, consigliere scientifico, consulente ministeriale – un insieme di saperi selezionati e “pedagogizzati” e, perciò, comuni, condivisi, che definiscono la nostra identità sociale – istituzioni, lingua, memoria, storia, musica.
Oggi questo sapere collettivo sta venendo meno. Traditio, la trasmissione, e traditum, la fonte, scrive il filosofo Giorgio Agamben, sono due facce della stessa medaglia: non è possibile conoscere una tradizione se non si conoscono le modalità di questa articolazione.
A essere in crisi, dice Olivier, è la trasmissione della cultura-corpus, la traditio.
Le cause? Molteplici.
Crisi accademica
In primo luogo, la crisi accademica. Finalmente posso fare la mia cosa preferita: lamentarmi. Se sono qui a scrivere questa newsletter è anche perché l’università, kafkiana, fra triennale e magistrale, mi ha esaurito: relatori non pervenuti, burocrazia, stress. Nemmeno le prospettive di carriera sono rosee, ma per fortuna ci prepara per il mondo del lavoro. Ah, no. Per non parlare dei costi, dalle tasse all’affitto. Insomma, l’università non è più la via privilegiata del sapere, ma un’alternativa.
Oggi, scrive ancora Agamben, assistiamo alla separazione fra tradizione e fonte.
I dispositivi e le istituzioni che dovrebbero trasmettere la tradizione – musei, biblioteche e, naturalmente, università – sono incapaci di assolvere al loro scopo.
Il risultato? La cultura si è trasformata in un reperto morto, privo di interesse. E così anche le università, e noi: i pre e neo-immatricolati, gli studenti, i laureati.
Lo youtuber Jared Henderson, da una prospettiva americana, osserva come gli studenti siano diventati prima di tutto clienti. C’è la questione degli student loans, certo, ma il suo video va più in là. Le università non si promuovono più attraverso il sapere come articolazioni della fonte/traditum, ma tramite la messa a disposizione di occasioni di networking, di lavoro, di sport, di amicizie e di hobby. La cultura sta scomparendo dai luoghi di trasmissione della cultura stessa. Di conseguenza, citando Guè, ospite al podcast Tintoria: «Ognuno può dire la sua».
“It’s not that deep”: anti-intellettualismo
Lo sapevamo già prima, ma col Covid ce ne siamo resi conto meglio: molti si credono tuttologi. Perfino io, che faccio tanto l’intellettuale, amo parlare senza conoscere, credo sia uno dei piaceri della vita – insieme al lamentarsi, certo. Per dire di “sapere” basta aprire Google, Facebook, TikTok. E l’ignoranza non viene più combattuta, ma celebrata. È la virtù dei puri, dei buoni, di quelli che agiscono d’istinto, niente più mesotes aristotelica o carro platonico. Il paradigma è cambiato: la “barbarie” è moralità. Citando il meme: “friendship ended with informazione, now anti-intellettualismo is my best friend”.
L’anti-intellettualismo può essere inteso in due sensi.
Il primo è lo snobismo nei confronti degli intermediari del sapere canonico: giornalisti, professori, medici, eccetera. Il secondo, meno evidente, è una forma di evitamento: “it’s not that deep”.
Pare che oggi la pace sia in crisi perché i diplomatici si dicono: «È un meme» o «È solo la mia opinione».
Frasi come queste sono espressioni di un potere “carino”. Se suonano passivo-aggressive è perché il Cute, scrive Simon May, è l’indeterminato, il contraddittorio, il perturbante. In una delle sue forme, il Cute è la fine della dicotomia fra vero e falso ed è proprio qui che l’anti-intellettualismo trova terreno fertile.
Finire a lavorare al Mc
Richard Rorty, filosofo pragmatista molto “that deep”, stufo degli studenti di ingegneria, ha scritto un intero saggio – Testi e blocchi di elementi – per gaslightarli: le scienze delle merendine, anche dette scienze morbide, non sono meno delle scienze dure. Non esistono oggetti morbidi o duri, tutti i fatti sono istituzionali, dice. Tradotto: non esiste una frattura fra pensiero scientifico e umanistico.
Ma Rorty non aveva TikTok, altrimenti si sarebbe reso conto del contrario: le humanities non sono mai state così denigrate, gli studenti STEM mai così sicuri di sé.
Nelle note del telefono ho una cartella chiamata “Discorsi inflazionati”. Eccone uno, appuntato dopo una visita alla GAM di Torino: «Il linguaggio letterario e quello scientifico che devono andare a braccetto». Col senno del poi, non è invecchiato bene. Fino a pochi anni fa, scrive il nostro amico Olivier, si credeva nel sapere (inteso come cultura alta/cultura-corpus) quale risorsa per il progresso e nella formazione per la costruzione del sé e, poi, della società. Come abbiamo visto, però, questa prospettiva è messa in discussione e nemmeno l’essere colti è più motivo di vanto. Are we cooked chat? L’editoria italiana, a quanto pare, sì.
Crisi dell’editoria
Anche nell’editoria, non sono solo i libri – la fonte – a vendere meno, ma è l’intera filiera a essere in crisi – la trasmissione: scrittori, editori, distributori. Stendendo un velo pietoso sull’alfabetizzazione, via con le slideshow dei dati: meno due milioni e mezzo di copie comprate, meno 23 milioni di euro spesi, restringimento complessivo del mercato dell’1,5 per cento (variazione a valore nel 2024 rispetto al 2023). Il 30 per cento dei libri pubblicati non vende una copia o, al massimo, una.
Nel 2024, il mercato italiano è stato il meno positivo in Europa.
Sarò ancora un po’ didascalico, ma taglio corto, giuro – a proposito di anti-intellettualismo lol. Un articolo del Post prende in considerazione alcune delle cause: mancanza di best seller, tagli alla cultura (come il “bonus Renzi” o i contributi alle biblioteche), calo del potere d’acquisto delle famiglie. Poi c’è la questione tempo, l’offerta dei competitor – perché leggere quando possiamo guardare The White Lotus – e il pregiudizio che molte delle nuove pubblicazioni siano spazzatura.
Ma come anche Loredana Lipperini fa notare, uno degli insight più rilevante rimane quello culturale: «È verissimo che da anni la cultura viene sminuita: da chi la vede come ostile o inutile, e spesso anche da chi la fa, e continua a dipingerla come una faccenda per pochi».
Il #BookTok ha rovinato la cultura?
A ben guardare, la cultura è diventata una sottocultura.
Da una cultura-corpus, scrive Olivier, siamo passati a una segmentazione sociale per gusti e interessi. La cultura-corpus ora non è che una categoria fra tante, una nicchia su TikTok, dove troviamo il nostro amato #BookTok. La cultura alta è diventata un hobby.
Noi che abitiamo il #BookTok condividiamo codici, pratiche culturali, interessi e, non per ultime, abitudini di consumo. Mi è capitato di leggere articoli e di vedere video che criticano i book haul sfrenati incolpandoli della crisi della lettura − e, di riflesso, della cultura.
Ma il fatto è che i book haul non sono la causa, ma una conseguenza. Se la crisi della cultura è una crisi della trasmissione allora i book haul – sbagliati o meno – non sono che la condivisione di un codice interno a quella che è già una sottocultura.
E proprio perché la cultura è una sottocultura, è normale che i libri non si leggano. Cioè, qualcuno legge, in effetti, ma i libri, oltre a quella culturale, hanno assunto anche una funzione estetica, diventando oggetti di consumo. Lo straniero, Cime tempestose, La via dei re, Fourth Wing, diventano parte dell’outfit, un trait della propria personalità, un oggetto di arredamento – su YouTube trovi un video essay di Mina Le molto interessante e completo sulla hotgirlification della lettura.
Non è vero che la letteratura è morta, si è solo secolarizzata nella combo “giacca Barbour + Sally Rooney a scelta + tote bag”.
Lo so cosa stai pensando, non tutto il #BookTok è “cultura alta”. E hai ragione, almeno da un punto di vista canonico. Sono d’accordo. Ma Richard è ancora infastidito da prima e ne ha ancora per noi e se ne esce con questa controversial take: forse opporre letteratura di serie A e di serie B è come opporre materie scientifiche e umanistiche: può aver senso, ma è poco utile. Nuovamente, né i romantasy, né i romance, né gli smut hanno portato al declino culturale. Non ne sono nemmeno sono un sintomo, credo. Storpiando Ludwig Wittgenstein, questi generi, esattamente come i mattoni russi o quelli filosofici, sono ciò intorno a cui si aggrega una comunità specifica (ma molto grande) del #BookTok che, a sua volta, è sottocultura di una sottocultura.
Questo non è un invito a volersi tutti bene, è bello offendersi a vicenda, è ciò che rende il #BookTok ciò che è. Dico solo che almeno leggiamo tutti e, se non leggiamo davvero, ci riconosciamo comunque in certi codici, quelli di chi crede che la cultura possa ancora essere cool. E checché se ne dica, le nuove generazioni sono le prime ad aver normalizzato il sapere orizzontale, quello trasmesso fra persone di età simile.
Nel declino delle accademie e con la crescita dell’anti-intellettualismo il #BookTok è diventato un insediamento del sapere, un atto civile di barbarie.
Come si ritorna alla fonte?
Oggi non esiste una costa o, quantomeno, è sempre più difficile riconoscerla. Viviamo nell’entroterra e ci spostiamo da un insediamento all’altro.
Quella che prima era la civiltà, la cultura-corpus, oggi è un atto civile di barbarie, quello del #BookTok e di altre nicchie, digitali e non. Qualche barbarie, invece, è diventata civiltà, come l’anti-intellettualismo. Questo è lo sfondo della crisi della trasmissione della cultura.
E quindi? Come si torna alla fonte? Beh, è un po’ complesso, ma ci si può riuscire con quello che Giorgio chiama una “salutare barbarie”. Basta con i canoni, la dottrina, il genio, l’intuizione artistica e andiamo verso quell’energia sorgiva che ci chiama. Insomma, università o meno, anti-intellettualismo o meno, discriminazione umanistica o meno, leggiamo quel dannato libro che ci portiamo nella tasca del Barbour.
E, aggiungo io, Gianfranco Sardinaschi, rinomato e grandioso intellettuale, leggiamo tutti Ring light.
Luce RGB
Rgb è la sezione random della newsletter, ossia quella dove ti consiglio altri materiali per approfondire i temi trattati o per trovare ispirazione. Ah sì, c’è anche un neologismo, quello di questo mese è…
Shrimpflation: aggravamento della shrinkflation (riduzione della quantità di prodotto senza abbassarne il prezzo) fino al punto che le confezioni saranno piccole come un gamberetto.
Clip tagliate (materiali extra):
Ho detto di aver storpiato Wittgenstein: lo spunto originale proviene da Note sul “Ramo d’oro” di Frazer (Adelphi).
Un articolo sul come “essere lettori” sia più importante di “leggere”.
Se in Italia si legge poco, forse è anche perché la burocrazia ci fa detestare il linguaggio. Trovi di più in questo articolo.
Un altro articolo sul #BookTok come atto politico (e di civilizzazione). Qui compaio anche io.
I libri d’arredamento nella casa di Kendall Jenner.
E per questo mese è tutto! Vorrei migliorare Ring Light perciò, per qualunque feedback, lasciami pure un commento o scrivimi 💖
Ah, sì, quasi dimenticavo di spammare il tasto per l’iscrizione 👹
Provvedo a guardare i videoessay e gli youtuber citati mentre aspetto il prossimo post 👉👈
Sapevo che questa newsletter non mi avrebbe delusa